Se ti ami, ti lasci guardare.

Se ti ami, ti lasci guardare.

Vi racconto di un mese rosa, di un appuntamento ad ottobre che fa più paura dei mostri di Halloween. E di Roma che al contrario si legge Amor.

L’altro giorno sono andata a fare la mia annuale ecografia di controllo per la prevenzione del tumore al seno.Ottobre non è soltanto il mese dell’autunno, delle foglie secche, delle zucche e di Halloween. E’ anche il mese rosa, e se non avete ancora prenotato un’ecografia o una mammografia, vi ricordo di farlo.

Durante tutto il mese sarà possibile effettuare visite senologiche gratuite e controlli clinici strumentali negli ambulatori della LILT in tutta l’Italia.

Io non sono una tipa ipocondriaca, ma questo tipo di controlli un po’ di ansia me la mettono. Anche perché mia nonna è morta di cancro al seno a 49 anni, solo pochi giorni dopo la mia nascita. E un male che si porta via mia nonna senza permettermi di conoscerla io non vorrei mai incontrarlo. Anzi, se lo incrocio per sbaglio, gli sputo in faccia.

Il medico non è lo stesso dell’anno scorso. Tanto per cominciare, è un uomo. Ma ha un viso simpatico e l’aria timida, praticamente tutto il contrario di me che, a quanto mi dicono, ho un viso antipatico e l’aria un po’ stronza. Nonostante la regola a me non si applichi, cerco di convincermi che la prima impressione è quella che conta, e quindi non sarà poi così imbarazzante, questa visita.

Ci sono due tipi di donne, dal medico. Quelle disinvolte, che non sono neppure entrate ma si sono già spogliate e stese sul lettino, e quelle che temporeggiano il più possibile, arrossendo.

Io faccio parte della seconda categoria. Una volta, non so perché, ho deciso che volevo fare la disinvolta, e mi sono spogliata prima. Ho sbagliato clamorosamente, e mi sono ritrovata a fare l’anamnesi familiare in topless. Mai più rinnegherò il mio naturale pudore.

Con la mia solita faccia da visita medica, quella a punto interrogativo – che devo fare, dove mi devo mettere, come si svolge questa cosa – attendo che il dottore mi inviti a stendermi per l’ecografia. Mi accomodo sul lettino, e inizia la scansione.

E mentre sono lì che fisso lo schermo, penso che l’ultima volta che lo fissavo ero incinta di Gabriele.

Non c’ho mai capito un tubo io di ecografie. Non distinguo assolutamente nulla, per me è solo un televisore con una pessima ricezione del segnale. Quello in bianco e nero anni 60 che avevo nella mia cameretta da bambina prendeva molto meglio. Ho visto per la prima volta l’esorcista, su quel televisore.

Quella volta, quando ero incinta di Gabri, scrutavo nervosamente il video cercando di vederci un figlio, aspettando che la ginecologa mettesse fine a quell’interminabile silenzio e mi dicesse tre cose: C’è. Vive. È sano.

È curioso. Ora fisso lo stesso schermo, nello stesso interminabile silenzio, e spero che questo qui non ci veda niente di niente.

“Lei non è di Roma, però”.

[Non ci posso credere, vuole fare conversazione. Mentre sto a seno nudo.]

“No, infatti. Sono veneta.”

[Sintetica. Spero che basti]

“Ah, e di dove?”.

[Mmmm, insiste.]

“Di Belluno”.

“Ah bella! Ci sono stato. E com’è trasferirsi da una cittadina di montagna in una città come Roma?”

[Senti coso, io c’ho l’ansia. Mi vuoi dire come stanno le mie tette perfavore?]

“Ehm…un bel cambiamento in effetti. Maaa non mi tenga sulle spine…è tutto a posto?”

“Ah sì sì, tutto ok. Non c’è nulla di anomalo. Abbiamo finito. Può rivestirsi, e ci vediamo l’anno prossimo”.

Un macigno di 7 quintali mi cade dalle spalle e sfonda il pavimento della saletta di radiologia.

Mi rivesto, attendo il referto, e in un minuto sono fuori da quella stanza senza finestre, fuori da quell’ospedale che pure ha fatto nascere i miei figli, fuori.

Sollevata, dovrebbe essere l’aggettivo. Ma non rende. Un sole incredibile di ottobre scalda l’aria del pomeriggio e il cielo è di un azzurro pieno. Va. Tutto. bene.

Prendo la macchina e la strada verso casa. Sono quasi le quattro, non c’è traffico a quest’ora.

Riscendo il lungotevere, per poi risalire all’altezza di Porta Portese. Giro verso via del Circo Massimo e mi fermo al semaforo. A quel semaforo, la via si spezza. Proseguendo dritti si va verso Terme di Caracalla, verso l’Appia Antica, verso casa. Se invece svolti a destra, continui a salire, sempre più su, fin sulla cima del colle Aventino. Uno dei miei quartieri preferiti.

E io metto la freccia.

Voglio solo passeggiare cinque minuti nel Giardino degli Aranci. È costruito con un trucco ottico, per cui più sei lontano, più la cupola di San Pietro sembra grande, e rimpicciolisce man mano che ci si avvicina alla terrazza. Vado fuori di testa tutte le volte.

giardino_aranci (1)

Poi la cupola la voglio riguardare dal buco di Roma. Quello della serratura del portone della villa dei Cavalieri di Malta. C’è sempre una piccola fila, per guardarci dentro. Uno ad uno si chinano a sbirciare un attimo, e tutti si rialzano con la stessa espressione di stupore.

cavalieri_malta

In quella stessa piazzetta c’è una scuola elementare. Vista l’ora, è gremita di genitori in attesa di riprendere i figli. Mi domando che tipo di famiglie siano quelle che hanno la fortuna di abitare in questo quartiere. Ricche sì, ma snob? Come sono i bambini di quella scuola? E i genitori che aspetto hanno?

Sono lì, che li osservo, ma non noto nessuna differenza. Niente di particolare nel loro atteggiamento, niente macchinoni in doppia fila, sono venuti quasi tutti a piedi. Niente di diverso nel look: ci sono pure qui le mamme in tuta con la piega sfatta, pensa un po’!

Mi rassegno a non trovare materiale nuovo per le mie #seleconoscileeviti e schiaffeggio la mia sciocca superficialità.

Mentre torno a riprendere la macchina, mi ritrovo a camminare proprio dietro alla mamma con la tutona e un accenno di ricrescita grigia, e il figlio, che avrà otto o nove anni. E involontariamente ascolto la loro conversazione.

“Allora Tancredi, il film che vedremo fra poco, s’intitola Il Gattopardo”.

“…Ah, bello…”

“Il protagonista è il Principe Tancredi. È a lui che mamma si è ispirata quando ha scelto il tuo nome…”

Le loro voci si allontanano, io prendo la direzione opposta sorridendo.

E penso che mi sono schiaffeggiata per niente.

 

(gli adorabili occhiali a forma di cuore sono di Mr Printables)

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