La mia macchina può sembrare un semplice veicolo con quattro ruote, tre porte, un seggiolino anteriore e due posteriori su cui legare i figli a doppia mandata sudando sette camicie. In realtà è come un transformer, nasconde tantissime altre funzionalità.
Si muove perlopiù lungo lo stesso tragitto casa-scuola. Quando siamo al completo, non è molto diversa da uno scuolabus. A volte c’è un tale chiasso lì dentro, che controllo se per sbaglio ho caricato anche i figli di qualcun altro.
Giuro che la mia macchina può diventare un treno merci, all’occorrenza. Se poi non la lavo da un po’ – e dimentico di nuovo la spazzatura nel bagagliaio – è una vera discarica.
“Mamma! Hai lasciato il mio disegno in macchina!”
“Ops…è vero! Scusa Ale. Però dai, lasciamolo in macchina. In macchina non ho niente.”
“No, in macchina hai solo briciole.”
Riflettendoci, la macchina di una mamma non è solo un mezzo di trasporto pieno di briciole. È un ampliamento abusivo dell’esistenza, un abitacolo nel quale rifugiarsi di tanto in tanto, anche solo per pochi minuti di solitudine al giorno. Un guscio in movimento, l’ultimo frammento superstite di uno spazio privato, reso ancora più prezioso per la sua capacità di essere nomade, di allontanarsi e di allontanarti da tutto, anche se è fermo nel traffico.
È nella mia piccola auto, quando sono sola, che circolano i miei pensieri più grandi. Muovendomi nel tempo e nello spazio, riproduco ricordi al rallentatore, blocco momenti allo stop, lancio riflessioni a tutta velocità.
Al semaforo, sorrido all’ambulante che mi vende sempre i fazzoletti.
Non è per pietà. Ho sei mini narici a carico. I fazzoletti non bastano mai.
Nella mia macchina, oltre al codice della strada, rispetto la legge della buona musica. La radio governa i miei stati d’animo, che sono ben poco statici, per la verità. Ondivaghi come il suono. Alti e bassi. Acuti o gravi. Il pezzo giusto e quello sbagliato possono facilmente alterarli, in certe giornate.
Oggi è un giorno no come un altro, la febbre alta che mi annebbia le azioni e i pensieri.
Non ho più benzina, ma il mio motore deve continuare ad andare. La stanchezza nello specchio retrovisore mi guarda negli occhi.
Poi, alla radio, il pezzo giusto.
Mi fermo al semaforo, alzo il volume, e in un attimo tutto quello che ho dentro esplode. Potrei giurare che il tettuccio si gonfi nella detonazione.
Le lacrime iniziano a sgorgare da sole, piene e calde di febbre.
Il venditore ambulante viene verso la macchina. Poi all’improvviso si blocca, abbassa lo sguardo. È un attimo, mi vede piangere nonostante il vetro un po’ sporco, e passa oltre con discrezione.
Scoppio a ridere fra le lacrime.
Proprio oggi che mi servivano i fazzoletti.
8 comments
Serena Mami Crea
11/01/2017 atBellissimo post!! Tanta veritá e tanti sorrisi?
Ornella Sprizzi
12/01/2017 atGrazie Serena 🙂
Francesca
11/01/2017 atCiao Ornella. Seguo con interesse il tuo lavoro: sei davvero un’artista della parola!riesci a rendere i tuoi pensieri con parole bellissime, ben combinate e coinvolgenti. Continua così!
Buon lavoro e un saluto da una bis mamma
Ornella Sprizzi
12/01/2017 atTi ringrazio di cuore Francesca!
Sara
19/01/2017 atMa piangevi di gioia o di tristezza????
Ornella Sprizzi
20/01/2017 atdi stanchezza 🙂 Avevo la febbre altissima e non potevo restare a letto.
Sara
20/01/2017 atMi spiace spero che ti sia ripresa!
Elena
09/05/2017 atVale lo stesso leggere un post così (e ne vale davvero la pena!) con uno scarto temporale di mesi? 🙂
Perchè io e la mia macchina proprio così!
(In IG ti seguo e sono “meandele”, giusto per.)