Giochiamo insieme?

Giochiamo insieme?

Dalle Barbie ai soldatini. Dal pavimento della mia cameretta a quello della loro. Il denominatore comune è liberare la fantasia.

Tra i ricordi più belli della mia infanzia, ci sono i pomeriggi passati con mia sorella, in cameretta, a giocare.
I giochi più gettonati erano tre o quattro. In testa alla classifica: le soap opera di Barbie.

Dico soap opera perché non avevano mai fine. Inventavamo una trama e i vari personaggi e mettevamo in scena un racconto interminabile. L’ispirazione probabilmente ci arrivava dalle favole e dai cartoni animati melodrammatici degli anni ’80. C’erano le Barbie ricche che maltrattavano le Barbie povere, c’erano il Ken buono e il Ken cattivo, c’era sempre il lieto fine.

Una storia poteva durare anche diversi giorni. Se noi andavamo a dormire, le Barbie andavano a dormire, e la loro storia continuava il giorno seguente. Trasformavamo l’intera stanza in una grande città, creando in ogni angolo situazioni diverse. Avevamo la casa a tre piani con l’ascensore, ma non era abbastanza, perché le Barbie erano tante e ognuna doveva avere casa sua! Quindi rovesciavamo una piccola sedia e la appoggiavamo ad un comodino e voilà: ecco una casa a due piani. Un po’ instabile certo, e infatti ogni tanto crollava. Ma la storia non si fermava nemmeno in quel momento. Semplicemente, c’era stato un terremoto, è OVVIO.

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Era un meraviglioso esercizio di fantasia quotidiano che mi ha lasciato ricordi indelebili e vivi. Se chiudo gli occhi, ancora oggi, sono seduta su quel pavimento. Posso ricostruire tutti i dettagli di quella cameretta, sento il profumo di una merenda appena sfornata, riconosco il rumore della pioggia che batte sulla finestra in un pomeriggio d’inverno.

Oggi sono mamma di due maschi, sto seduta su un altro pavimento, e i protagonisti sono loro.

Si dice che i maschi siano ben poco cervellotici e molto fisici, e in effetti il passatempo principale dei miei figli è rincorrersi e lanciarsi in volo dai divani, saltarsi addosso, simulare combattimenti.

In una stanza che straripa di giocattoli (grazie nonni, nonne e zii!), uno dei loro preferiti è il fortino dei soldati Playmobil. Fortemente desiderato dal papà, anche lui in qualche modo rimasto intrappolato in un buco nero degli anni ’80 e vittima della pressione pubblicitaria dell’epoca (è chiaramente la mia anima gemella), si parlava di acquistarlo ancor prima che i nostri figli nascessero.

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Saremo un po’ controcorrente (e tanto 80s) ma non siamo due che prediligono i cosiddetti “giochi educativi”. Per noi i giocattoli devono essere giocattoli, non compitini da portare a termine. Quello che ci interessa davvero è che, quando giocano, si sentano liberi. Di friggere una pallina come un uovo in una padella, o di usare poi la padella come una racchetta per la pallina, di mettere a soqquadro la stanza, più volte al giorno.

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Quando mi chiedono di montare il fortino (che naturalmente viene distrutto ogni volta che ci si gioca!) ci spalmiamo per almeno un oretta sul parquet. Io mi diverto un sacco ad osservarli. Sono due osservati speciali anche perché il gioco è adatto all’età di Ale, ma un po’ meno a quella di Gabri, per il quale devo ancora far sparire molti dei pezzi più piccoli.

A volte montiamo anche la pista del trenino e glielo facciamo girare tutto intorno, che ce ne frega se un anacronistico Italo viaggia ad alta velocità all’epoca del Far West!

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Ale inventa le storie, mima le scene, fa il rumorista. Gabri aggiunge pezzi che non c’entrano niente.
Io rido come una (mamma)matta, e torno bambina.

PH Mammamatta™

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